J. R. R. Tolkien: “Il Signore degli Anelli“ - Mitologia, Filosofia, Allegoria

“Facharbeit“ – Saggio di Manuel Steiner, scritto nel ´00 p.r.i.


Indice

Introduzione

  1. Compendio de Il Signore degli Anelli
  2. Struttura e composizione
  3. Linguaggio e stile
  4. L’importanza della filologia
  5. La mitologia della Terra di Mezzo
  6. Filosofia e cosmo
  7. La questione dell’allegoria ne Il Signore degli Anelli

Epilogo
Appendice A: Profilo biografico di J. R. R. Tolkien
Appendice B: Opere di J. R. R. Tolkien in ordine di pubblicazione
Appendice C: Mappa della Terra di Mezzo durante la Terza Era
Abbreviazioni e bibliografia delle opere consultate


Introduzione ( indice )

Vi sono attualmente molte dicerie in giro sul film che Peter Jackson ha girato ormai un po’ di tempo fa in Nuova Zelanda: sarà un nuovo adattamento, in stile epico della più nota novella fantasy: "Il Signore degli Anelli" di Tolkien. Laddove alle persone "normali" verosimilmente non importa dell’opera finché giungerà nei cinema nel 2001, i fanatici di Tolkien sono stati ossessionati da ogni esile frammento di informazione spiata-rosicata che potessero ottenere per mesi.

Mentre il progetto stesso fu accolto da entusiastiche opinioni, qualche cosa le fece disapprovare dalla comunità Tolkieniana. Il cast degli attori, che, per esempio, include stelle come Christopher Lee nella parte di Saruman ed Elijah Woods in quella di Frodo, più che un punto di dibattito è scrittura di pieces ed una lista di personaggi per gli interpreti che gli ammiratori scoprirono. A quanto pare, il regista progetta di riscrivere la trama del libro allo scopo di adattarlo al gusto moderno, includendo modifiche all’apparenza esteriore dei personaggi, il ruolo che giocano e specialmente il loro comportamento. L’importanza dei personaggi femminili è da sottolineare, mentre ruoli minori sono da omettere in conformità col copione. Tali modifiche pianificate hanno acceso un’accalorata discussione sul significato del libro, ed il modo in cui i personaggi sono intesi. Un sito Internet sta persino raccogliendo una petizione che sarà spedita a Peter Jackson non appena vi siano abbastanza sottoscrizioni; esigendo che il film rimanga totalmente fedele al romanzo. Lievi differenze d’interpretazione devono assumersi con cura, siccome vi è il pericolo che il libro possa essere facilmente frainteso, come lo è già stato una volta e più da quando fu per la prima volta pubblicato nel 1954/55; con diverse fuorvianti allegorie e ostinati critici a sottovalutarlo.

In questo saggio, tento di fornire le informazioni necessarie per una comprensione del romanzo, della sua mitologia e significato, e mostrerò allegorie ed interpretazioni comuni e come verosimilmente esse sono fedeli al contenuto del libro.

I. Compendio de Il Signore degli Anelli ( indice )

Il compendio dei contenuti che vado a fornire col presente documento è una necessaria base per una comprensione di questo saggio, sebbene non possa né coprire l’intero libro dettagliatamente, né formare una base per critica seria. Per quest’ultima, la completa ed attenta lettura del romanzo è inevitabile.

La Compagnia dell’Anello

La storia inizia nella Contea, un’area rurale, idilliaca, nella quale a Frodo, un hobbit – il loro proprio vocabolo nativo per halfling -, erede di suo zio Bilbo, è rivelato da Gandalf, lo stregone,dei poteri celati dell’anello ereditato. È un anello di estrema potenza, forgiato dal signore di tutti i mali, Sauron, ed un gingillo capace di concedergli, lui che si era appena schiodato nuovamente dal confino, il potere di conquistare il mondo e ridurlo in cenere. Tre anelli benigni e nove maligni possono essere controllati dall’unico Anello dominante, ma siccome l’Anello corrompe e seduce coloro che gli sono appresso, e siccome esso tende al suo padrone, l’Oscuro Signore, la sola possibilità è di distruggerlo laddove fu creato, nel Monte Fato, nel profondo di Mordor, la terra d’ombra del nemico. Frodo viaggia, per tutto il tempo perseguitato e ricercato dai neri cavalieri del nemico, assieme ai suoi compagni hobbit Samvise, Peregrino e Meriadoc, cui più tardi si congiunge il misterioso ramingo Aragorn, chiamato Grampasso, alla volta di Gran Burrone.

Ivi, durante il concilio di Elrond Mezzelfo, Frodo accetta il compito di viaggiare fino a Mordor; e la compagnia formata da Gandalf, Frodo, Sam, Pipino, Merry, Aragorn, Legolas l’elfo, Gimli il nano e Boromir di Gondor, la terra più prossima a Mordor, parte. Sul loro cammino verso l’incantato bosco Elfico di Lórien, essi perdono Gandalf in un combattimento contro un demone nelle miniere di Moria nel cuore delle Montagne Nebbiose. Aragorn agisce come loro leader d’ora innanzi e la compagnia si ristora in Lórien e si sposta lungo il fiume Anduin in barca. Su di un’isola nel fiume, Boromir tenta di convincere Frodo a dargli l’anello, e quando egli lo assale, Frodo fugge dalla compagnia, seguito da Sam. Boromir è ucciso immediatamente in seguito dagli orchi nel difendere i rimanenti due hobbit, che sono catturati e portati via.

Le Due Torri

Durante una zuffa fra Orchi, Merry e Pipino fuggono nella foresta di Fangorn, ove con l’aiuto dell’Ent -una creatura-albero- Barbalbero, essi sono in grado di provocare il levarsi della foresta e l’attacco a Isengard, la fortezza dell’infido stregone Saruman. A tutta prima, Aragorn, Legolas e Gimli incontrano cavalieri di Rohan, e più tardi il redivivo Gandalf in nuovo splendore. In Edoras, essi scuotono il Re del Mark, Théoden, dall’influenza di Gríma Vermilinguo ed a combattere contro Saruman. Essi prendono posizione al Fosso di Helm che difendono con successo. In Isengard, essi incontrano nuovamente gli hobbits e gli Ents che ne stanno facendo a pezzi le mura, rovesciando Saruman.

Frodo e Sam, nel loro cammino alla volta di Mordor, catturano Gollum, il primo possessore dell’Anello, che li segue segretamente per riguadagnare il suo prezioso gingillo. Con lui alla guida, essi aggirano il cancello chiuso di Mordor e conducono a sud. Gollum, contorcendosi tra la lealtà a Frodo dovuta al voto che ebbe a giurare sull’Anello, e bramando per il suo possesso, infine li guida, dopo un periodo che essi trascorsero con le sentinelle di Gondor, in una trappola al passo di Cirith Ungol. Ivi, Shelob, il ragno gigante, avvelena Frodo, che è portato via dagli orchi, lasciando Sam con l’Anello.,

Il Ritorno del Re

Mentre Gandalf e Pipino dirigono verso Minas Tirith, Aragorn, che si è appena rivelato come il legittimo erede del trono a lungo deserto di Gondor, prende il Sentiero dei Morti verso sud, assieme al suo seguito di Raminghi e Gimli e Legolas. Théoden cavalca con Merry verso Dunclivo per adunare l’esercito di Rohan. I cavalieri compaiono giusto in tempo siccome Minas Tirith è già assediata dalle forze di Sauron. Nella battaglia dei campi del Pelennor Théoden Re è ucciso, ma, a sua volta, sua nipote Éowyn abbatte il condottiero dell’esercito nemico, il Signore degli Spettri dell’Anello. Assieme al Re Aragorn, che compare spalleggiato dai non morti a lui vincolati da un antico voto, il corso degli eventi muta in favore dei difensori di Minas Tirith. Nella città, ove Denethor il Sovrintendente si era precedentemente arso, Aragorn risana I feriti e quindi chiama a raccolta un esercito per marciare verso il Cancello Nero di Mordor. Su di un colle, essi stabiliscono il loro campo nella decisiva battaglia finale.

Nella torre di Cirith Ungol, Sam è abile nell’aiutare Frodo a scappare, ed essi continuano il loro tragitto attraverso la landa desolata di Mordor a Monte Fato, dove incontrano Gollum di nuovo. Frodo rifiuta di sacrificare l’Anello alle fiamme nelle sale di fuoco al di sotto della montagna, ma Gollum stacca con un morso il suo dito, e, nella sua scomposta gioia, cade nell’abisso. Con la distruzione dell’Anello, la Torre Oscura di Sauron crolla ed il suo padrone svanisce. Dopo essere stati onorati al Campo di Cormallen, gli hobbit ritornano alla Contea, solamente per vederla controllata da Saruman, il quale, ora che è privo di poteri, devono dapprima respingere, eche poi è assassinato dal suo seguace. L’ultima azione di Frodo vis ta nella Terra di Mezzo è il suo salpare all’ovest con gli altri portatori dell’Anello, lasciandosi indietro, fra gli altri, un Sam maritato e padre ed un Aragorn insediato sul trono.


II. Struttura e composizione ( indice )

Vi sono diversi punti peculiari sulla foggia de Il Signore degli Anelli. Per prima cosa, Tolkien non lo scrisse con un fermo "piano generale", ma lo lasciò evolvere e sviluppare col procedere della storia, agendo per ispirazione da ciò che egli stesso Aveva scritto. Egli ammette che alcuni riporti narrativi apparvero soltanto più tardi, ed è citato che non sapesse dove porre Grampasso, oppure come continuare la storia, quando l’azione raggiunse Brea (comp. Moseley,30). Un altro aspetto delle opere di Tolkien in generale, e de Il Signore degli Anelli in particolare è il modo in cui asserisce di presentare i testi. Essi non sono inventati da Tolkien, ma di fatto scritti dagli hobbit nel "Libro Rosso dei Confini Occidentali" e meramente tradotti ed editi da Tolkien. Come spiega nell’appendice F, egli tradusse ciò che era in lingua comune, ed anglicizzò i nomi (comp. LOTR, 1107ff.). Ciò può essere ricapitolato dalla tesi per cui "la storia stessa è tratta come attiva, lo scrittore come passivo" (Moseley,30). Il narratore in terza persona, onnisciente e non importuno, ben più di una volta marcia dietro la narrazione in prima persona fornita dai personaggi, o dalle loro retrospezioni.

Per l’effettiva struttura del romanzo, Tolkien adoperò metodi più comuni nella letteratura antica o medievale. Uno è la composizione ad anello di Omero, ma anche di altri scrittori e poeti nei secoli successivi, come Wagner. Una narrazione generale, principale è sospesa per focalizzarsi su di una singola persona o articolo, come l’Anello. Come l’azione circola attorno all’Anello, anche l’intero sviluppo della trama è circolare: scomparsa e ricomparsa di personaggi (Gandalf), e scostamento del focus da Sam e Frodo agli altri. Prestando attenzione all’esposizione cartografica del libro, lo schema tipo “andata e ritorno” è altrettanto evidente: il punto di partenza, la Contea, è il luogo conclusivo, Gran Burrone è visitato in entrambi I viaggi – di andata e di ritorno -, ed il punto più estremo (in ambedue i sensi), Monte Fato, è anche il punto di svolta geografico. Lo sviluppo di trama e tensione s’adatta pure a tale schema, con azione crescente nei primi quattro libri, una posticipazione nel libro cinque, che non menziona affatto Frodo, ed una risoluzione nel libro sei, con l’arrivo delle aquile e la partenza per i Porti Grigi.

Un motivo del Romanzo cavalleresco medievale e delle Antiche Saghe Norrene sono gli entrelacements della narrazione nel romanzo. Con l’inizio del libro tre, l’unica sponda dell’azione differisce in diverse, seguendo il disgregarsi della compagnia. Questi sono tenuti assieme, però, da una mappa ed una cronologia giornaliera. La complessità fornisce anche alcune connessioni incrociate solo in seguito ovvie: la voce che Frodo ode su Amon Hen è di Gandalf; ciò non può essere noto al lettore a tutta prima. Un altro esempio è il cadavere di Boromir alla deriva lungo l’Anduin, visto da Faramir, ma ignoto a Sam e Frodo (comp. Shippey, 146f.).

La combinazione di tutti questi metodi di strutturazione crea una tensione la quale per altri versi potrebbe andare un poco perduta se vi fosse minor complessità, ma in tal modo l’attenzione del lettore è sempre trainata avanti e indietro, con concatenazioni e balzi batracoidi dell’azione.


III. Linguaggio e stile ( indice )

Per un certo numero di differenti ragioni, Il Signore degli Anelli contiene vari livelli di retorica e stile. Un punto è che doveva essere stampato in parecchie copie a raggiungere un pubblico esteso ed anonimo, non un circolo privato di amici cui Tolkien potesse leggere il libro ad alta voce. Il punto di vista della critica per cui "la disunifornità di tono, l’occasionale sciatteria delle metafore e simili, (...) può essere dovuta in parte a tale incertezza circa la risposta dell’uditorio." (Moseley, 43; mio corsivo) è edificato su questo fatto. A causa di ciò, Tolkien ebbe a tralasciare un certo ammontare di narrazione dallo stile elevato che usò in opere precedenti; ed il livello del linguaggio si eleva con quello dell’azione soltanto dalla conclusione del libro uno. Prima di essa, specialmente quando l’azione stessa è ancora nella Contea, Il Signore degli Anelli era congegnato come un diretto seguito a Lo Hobbit, usando quegli espedienti stilistici atti a creare un libro per bambini.

Più tardi, l’autore è ancora a confrontarsi con il compito di allineare la parlata dei personaggi al loro sottofondo culturale, siccome ha di che sviscerare "differenti mondi di parole" (Moseley, 44). Invero, è chiaramente visibile che Tolkien non fece null’altro che collegare espressione e scelta dei vocaboli al modo di pensare del personaggio; con orchi e vagabondi usando discorsi semplici e crudi, gli alti elfi parlando solennemente e con tono elegiaco, ed i Rohirrim rassomigliando agli antichi Anglosassoni nei loro toni melodicamente rimati, eroici.

Toni medi ed una certa letizia sono presenti negli hobbit, per quanto il loro stile colloquiale e le parole ci sono familiari. Lo stile elevato è conseguito dalle proposizioni di Tolkien che spesso si ritrovano solenni, parallelistiche e polisindetiche, come la descrizione dell’arrivo dei Rohirrim a Minas Tirith (comp. LOTR, 820) oppure il passaggio in cui lo splendido Re Aragorn Elessar è ammirato entrare nella città (comp. LOTR, 947).

Ad un tale stratagemma linguistico se ne accompagna un altro, il "levare il registro linguistico e [l’uso di] deliberati arcaismi" (Moseley, 51). Di questi ultimi Tolkien ne fornisce molti: antiche forme per vocaboli comuni, scrivendo "hither", "thither" e "whither" oppure "nigh", "naught" and "aught", ed attraverso arcaiche espressioni non più, almeno non frequentemente, usate: il solenne "tidings" per il modernistico "news", oppure la frase "to be loath to" invece di "reluctant". Per quanto formali ed elegiache esse possano essere, sono anche talvolta in contrasto con altre frasi, ed a causa della complessità della narrazione, una unità di stile e linguaggio non è mai conseguita; solamente un relazione isomorfica fra espressione e personaggio la quale equipara l’impressione che "Tolkien non sembra mai risolvere appieno i problema del livello retorico" (Moseley, 42).

I poemi che Tolkien intercala per lo più si adattano alla rispettiva retorica e pure al sottofondo culturale del personaggio. Gli Hobbit hanno versi ridanciani, talvolta sconvenientemente umoristici, "filastrocche", come sono definite frequentemente da Shippey. I poemi Elfici esprimono la dignità e solennità della loro razza con il loro ritmo melodico, che è, in quei versi conservati solamente in Sindarin, anche il solo aspetto che il lettore realizza. Speciale attenzione è posta sulle rime e canti dei Rohirrim, e più di una volta essi rassomigliano ai loro modelli, l’antica poesia Anglosassone ed eminentemente l’Antica Norrena più che nella mera struttura. Questi sono poemi in rima melodica, con gli eroici ideali e la furia del loro popolo espressa nei loro canti, ma ve ne sono di paralleli alla Edda Poetica in un grado imitativo, per giunta: quindi il grido di battaglia di Théoden mentre carica rammenta chiaramente un rigo nel Voluspá. Ivi la fine del mondo è descritta con le parole "axe-age, sword-age / sundered are shields / wind-age, wolf-age / ere the world crumbles" 1 (Moynihan,330; citato da Lee M. Hollander, The Poetic Edda, 9); il grido di Théoden imita questo sia nel ritmo che nel sighificato, ed utilizza anche parole simili: "Saran scosse le lance, frantumati gli scudi, / e rosso il giorno prima dell’alba!" 2 (SdA, 1006). Similmente, la Lunga Lista degli Ent alle pagine 568 e 711 appare come un poema di sapienza tal quale al Grímnismál, dal momento che ambedue raccontano dei nomi di oggetti e creature viventi. Ma come mostra il primo esempio, tale parallelo è appena formale, con differente contesto, e non una allegoria, il che proverò più oltre. Con l’amore di Tolkien per la poesia, vi sono tuttora molti poemi i quali non apportano migliorie all’insieme del romanzo, ed è vero che i "poemi funzionano realmente soltanto quando saldamente collegati al loro contesto narrativo, ad innalzare quel momento." (Moseley, 51).


IV. L’importanza della filologia ( indice )

Soggiacente a tutte le opere di Tolkien è la filologia, sia dal lato professionale che per il puro amore per linguaggio e parole. Suono e tono di certi linguaggi ed opere presero il cuore di Tolkien letteralmente d’assalto. Fu il caso del Gotico; fu tale col Finnico, al quale il suo inventato linguaggio elfico Quenya rassomiglia, e fu tale col Gallese, il quale ispirò il suo linguaggio Sindarin.

Linguaggi, e non di rado singoli vocaboli da soli lo ispirarono grandemente per la sua narrativa; invero, "egli pensava che le idee gli pervenissero [...] attraverso le ascose risonanze di nomi e linguaggi" (Shippey, 263; mio corsivo). Questo è il luogo in cui la filologia entra in gioco. Tolkien era grandemente interessato alle parole ed alla loro storia – si legga la loro etimologia – e ciò espresse nella narrativa. In tal modo, egli tentò di introdurre il mondo delle parole che apprezzava tanto sia entro un contesto mitologico che entro un’ambientazione storica che presentò come fatto. Per citare egli stesso: "Mi piace la storia, e sono commosso da essa, ma i suoi migliori momenti per me sono quelli in cui si fa luce su parole e nomi" (Shippey, 62). Siccome non era questo il caso che si desse così di sovente, egli tentò di correggersi, dando nomi e vocaboli a storie che naturalmente egli dapprima aveva inventato, dal momento che alcunché d’altro sarebbe andato contro i suoi propri principi se avesse assunto che un linguaggio fosse esistito prima dei nostri tempi - ma che effettivamente non lo fu mai. Per tali linguaggi inventati, la storia nella sua narrativa è secondaria, minore in importanza che non nel processo di creazione in cui i linguaggi erano primari; la sua narrativa fu sviluppata come un metodo per presentarli. Come egli stesso ammise, "Le ´storie´ furono piuttosto ideate a fornire un mondo per i linguaggi che non l’inverso!" (Shippey, 22; citato da Letters of J.R.R. Tolkien, ed. Humphrey Carpenter, 219).

Assieme a ciò la credenza di Tolkien in un "intimo valore" dei linguaggi; era convinto che "le persone possano avvertire la storia nelle parole, possano riconoscere gli stili dei linguaggi, possano estrarre senso dal suono soltanto" (Shippey, 104). Qui Tolkien potrebbe trarre conclusioni da sé su quello che altri pensino, ma per lui probabilmente esistette un linguaggio nel quale ogni cosa aveva il suo proprio, rispettivo e vero nome, perfettamente adatto e intelligibile ad ognuno. Tali assunti sono espressi nel personaggio di Tom Bombadil, che fu, simil-Adamo, il primo a dare ad ogni cosa il suo confacente nome, isomorfo con la realtà.

Tutto questo insieme spiega l’opinione di Tolkien che la sua opera fosse "in larga misura un saggio in estetica linguistica." (Shippey, 104; citato da Letters of J.R.R. Tolkien, ed. Humphrey Carpenter, 220). All’apparenza Tolkien gradiva realmente usare "nomi parlanti". Ossia, tutti i predecessori di Éomer erano chiamati con qualche termine Anglosassone per "re", oppure il nome di Gandalf "nel Sud" era Incanus, Latino per canuto. Un altro esempio, trascurato nelle varie opere di seri autori e critici, è il nome del Vecchio Tuc, il più anziano hobbit di sempre: Gerontius non significa altro che "alla maniera di un uomo molto anziano" 3. In ogni caso, il significato descrive chi è nominato, e "metter nome è conoscere" (Moseley, 54).

La profondità, qualità che Tolkien valutò per la maggior parte in ogni opera, è, a parte i suoi linguaggi inventati, principalmente conseguita dai nomi che danno contributo a persone ed oggetti. A formare un contrasto con la letteratura – che Tolkien vedeva come opposto dell’antico spirito contenuto nell’antica letteratura inglese, non da meno il suo assai adorato poema epico Beowulf - sua mira fu di utilizzare la filologia – quel che chiamò "lo speciale fardello delle lingue Nordiche, [...] lo speciale vantaggio che possiedono quanto a disciplina" (Shippey, 8) – allo scopo di ridestare tale spirito. Così, non sorprendentemente, l’intera sua narrativa è edificata sulle parole, sull’etimologia, la filologia. Egli derivò una gran quantità del suo cosmo solamente dalle tradizioni, gli antichi racconti di Elfi, Nani, Ent e Dragoni che volle presentare; e siccome erano fatti filologici, è comprensibile che, nonostante la sua mescolanza di poesia con filologia, l’esito narrativo regga un certo grado di realismo. Altri nomi, per esempio i nomi di luogo nella Contea, hanno controparti esistenti, principalmente nella regione sulla quale la Contea fu più o meno esattamente modellata, i.e. i dintorni del Worcestershire. In tal proposito, vi sono due divergenti tipi di nomi nella Terra di Mezzo: nomi sui quali fu inventata una storia, un personaggio oppure un luogo ("I nomi generano sempre una storia nella mia mente" (Shippey,60), disse Tolkien); e quelli che recano un nome dato dopo la loro invenzione; quantunque nell’ultimo caso sia possibile che l’autore avesse tale idea, tale nome, in mente fin dal principio.

Il Signore degli Anelli agisce esattamente in conformità con il principio di Tolkien per cui "la parola narra la storia" (Shippey,15), come egli ammise in una delle sue lettere (comp. Shippey, 15); il principio per cui un’etichetta dice molto a chi la sa lunga. Un filologio – tale come Tolkien medesimo - dovrebbe riconoscere il significato nascosto di persone e luoghi rivelato nei loro nomi, e l’importanza di tale nome-sighificato non è da sottostimarsi. Se il nome, "etichetta", e la percezione divergono, entrambi dovrebbero essere tenuti in conto. È probabile che Tolkien abbia dato alla prima la priorità; come è con Aragorn, in realtà Elessar, la "Elfica-stella" 4, che appare cupo e probabilmente malevolo al primo incontro. Ma qui le linee del poema sono provvidenziali per scoprirne l’indole: "Non tutto quell ch’è oro brilla / Né gli erranti sono perduti.". Qui, come T. A. Shippey faceva notare: "la credenza di Tolkien era ´che la parola autentica l’oggetto´" (Shippey,51; mio corsivo).

In conclusione, per come stanno le cose effettivamente l’intero Signore degli Anelli fu fondato sulla base della filologia, e l’ispirazione che Tolkien trasse dalle parole, ed è logico che non si possa seguire il modo di pensare di Tolkien senza tener conto di ciò come uno dei più fondanti fattori per lui e le sue opere. Virtualmente, "non v’è divisione tra la filologia di Tolkien e la sua narrativa." (Moseley, 1).


V. La mitologia della Terra di Mezzo ( indice )

La creazione della mitologia

Quel che risulta evidente dai capitoli precedenti, è che Tolkien non sarebbe mai stato soddisfatto dallo scrivere normale letteratura seguendo il filone dominante. Voleva risvegliare le antiche tradizioni attraverso un canale differente, coinvolgendo i miti ed affrontando le critiche per esser andato contro le comuni leggi non scritte della scrittura. Infatti, "Tolkien non era partito per scrivere ´letteratura´, [...] ma poteva, con crescente certezza, esser partito per scrivere mitologia." (Moseley, 52; mio corsivo). Questo includeva il fatto di spostare l'attenzione lontano dai personaggi, poiché nei miti cosmici gli esseri umani devono stare un passo indietro, lasciando la scena agli aspetti universali. E' come disse W.H.Auden di Tolkien: che Shakespeare creava personaggi e trame narrative, là dove Tolkien creava mondi e miti (comp. Murray, A. : Das Tolkien Quizbuch, 67. Klett-Cotta, o.J.,o.O.)

C'erano tre ragioni principali che muovevano Tolkien a fare ciò: i suoi interessi filologici che lo indirizzavano verso il mito, il desiderio di esprimere la propria poesia in un canale appropriato e, non per ultima, l'intenzione di dare all'Inghilterra, "il paese più demitologizzato d'Europa" (Shippey, 268), una mitologia che non aveva mai avuto nei secoli precedenti, risultato questo dell'invasione normanna del 1066 e della Rivoluzione Industriale.

Un aspetto de Il Signore degli Anelli è che oggigiorno può essere semplicemente denominato Fantasy, la finzione narrativa di persone, luoghi e circostanze inesistenti nel mondo normale. Gran parte della sua cosmologia si basa sul folklore e le fiabe dei tempi più antichi, oltre che su quella che è la forma più alta della tradizione popolare: saghe, ballate e canti epici. Alcune di tali fonti che ispirarono Tolkien furono indubitabilmente il poema Pearl and Sir Orfeo, sommamente Beowulf, l’Islandese Antica Edda, ed anche il Nibelungenlied (sebbene non nella versione di Wagner). In essi, come nelle antiche ballate popolari, veniva riflessa la credenza della gente in creature come draghi, elfi e nani e poiché Tolkien era un maestro in tale campo, "le incongruenze di tali tradizioni non potevano che dare a Tolkien una grande voglia di creare una Zusammenhang" (Shippey, 211).

Risonanze Mitologiche

Egli seppe combinare insieme aspetti delle varie creature e fenomeni per creare gli abitanti e le condizioni della Terra-di-Mezzo, a volte sviluppando qualcosa "da un frammento", da una singola parola o idea - come far menzione degli orchi nel Beowulf, un Bosco Atro nel Lokasenna e nel Hlodhskvidha dell’Edda Poetica, oppure l’idea di una foresta che prende vita ed attacca nel MacBeth di Shakespeare; che Tolkien portò a reale movimento, letteralmente parlando, quasi non apprezzasse l'idea che la foresta del dramma non caricasse realmente. Gli elfi sono una mescolanza di fonti differenti, togliendo magari qualcosa da una, ad esempio l' idea del ´changeling´5, ed aggiungendo una porzione dall’altra, come le caratteristiche degli abitanti Celtici dell’altro mondo, i Tuatha Dé Danaan. Similmente i nani, ispirati quasi completamente dall'Edda, sebbene trasmettano la loro peculiarità di mutarsi in pietra al sole, che ivi è loro tratto centrale, ai Vagabondi, e a loro volta prendano l’aspetto Rumpelstiltskiniano di non dire ad alcuno i loro veri nomi, il che può trovarsi nelle fiabe dei Grimm. (comp. Shippey, 106).

Anche gli esseri umani vengono creati ispirandosi alle leggende: essi però mostrano anche - e dopotutto sono uomini - tratti comuni, ritrovabili nella realtà e nella storia. I Rohirrim, ad esempio, che Tolkien afferma assomigliassero agli antichi inglesi soltanto nel linguaggio e nelle circostanze in cui erano stati introdotti, sono effettivamente molto simili agli Anglosassoni delle leggende e poesie (comp. Shippey, 112). Un loro aspetto caratteristico è l'innata ferocia, tale da far dichiarare a Shippey "Si comportano come pellirosse in cotta di maglia" (Shippey, 115). Una spiegazione di questo, come lo stesso Shippey indica, può risiedere nella maniera in cui una terra plasma i propri abitanti: i reali Anglosassoni, infatti, come quelli della leggenda, erano tipicamente germanici nel non essere un popolo di cavalieri (Cesare già menziona la loro abitudine di smontare dai loro cavalli in battaglia nel suo De Bello Gallico). D'altro canto, Gondor può essere correlata all'Antica Roma - più potente, più civilizzata e sviluppata, ma anche dai costumi più decadenti.

Anche il ruolo mitologico di Gandalf risulta composto da aspetti differenti, anche se, ovviamente, preso da altri punti di vista: la sua resurrezione nello splendore sulla collina nella foresta di Fangorn ricorda tanto quella di Gesù 6, quanto quella di Balder, dio germanico della Giustizia, Pietà e Luce, la cui morte segna l'inizio della fine del mondo e la cui rinascita coincide con l'inizio d'una nuova era. Similmente ambivalente è il sacrificio di Gandalf a Moria: come Gesù, che morì per la sua gente, ma anche come Odino, che s'impiccò sulla cima dell'albero del mondo, Yggidrasil 7, ottenendo in cambio la conoscenza delle rune e che sacrificò un occhio per avere il dono della visione profetica, così come Gandalf, tornato dalla morte con rigenerato potere. L'oggetto centrale del romanzo, l'Anello, può trovare il proprio riferimento in Draupnir, l’Anello del Potere di Odino; sebbene ciò verrebbe ad includere un contributivo personaggio allegorico a Il Signore degli Anelli; ed anche se ci sono, sicuramente, molti altri anelli magici nei miti e nei racconti.

La Terra di Mezzo stessa ha una mitologia, per giunta, la quale principalmente appare nei vari canti; tali come la Caduta di Gil-Galad, un personaggio prometeico simile ad un elfico Icaro, oppure la Storia di Beren e Luthien 8.

Un'altra mescolanza tra culture reali e loro miti si può ritrovare nel campo spesso trascurato del simbolismo numerico. Molte figure, articoli importanti o piccoli dettagli, sono composte da uno dei due più comuni numeri "sacri": il 7, nella tradizione biblica Giudaico-Cristiana ed il 3 ed i suoi prodotti, cifra importante nella tradizione Norrena ed in quella cristiana. Come Tolkien spiegò, gli elfi preferivano contare in sestine e dozzine, che altro non sono che 2x3 e 4 X 3 (comp. LOTR, 1080). Nel romanzo, sono frequenti numeri simbolici, così come ci si dovrebbe aspettare in un racconto mitologico: vi sono tre anelli elfici, nove (tre volte tre) anelli dei mortali, e, per riflesso, nove Spettri dell'Anello; nove membri della Compagnia dell'Anello in partenza da Gran Burrone; 27 (nove volte tre, ovvero tre volte tre volte tre) gradini per salire alla torre di Orthanc; e Denethor è il ventisettesimo reggente di Gondor. Per quanto riguarda il numero sette, ci sono sette anelli dei nani, sette Palantíri, le antiche pietre della visione; sette stelle di Elendil, che si possono ritrovare anche nello stendardo di Aragorn; e sette le mura e le torri di Minas Tirith. Una combinazione di tre e sette è il numero di orchi ucciso da Gimli nella battaglia del Fosso di Helm: 42, due per tre per sette o sei volte sette. Ci sono sicuramente molti esempi di questo tipo, ma nessun numero o insieme di essi può effettivamente essere associato ad una specifica cultura della Terra-di-Mezzo.

Il romanzo come un mito

Spero di aver già chiarito il fatto che esistono alcuni topoi ricorrenti sugli aspetti mitologici in mezzo a percezioni differenti, così come tra il punto di vista cattolico di Tolkien e quelli degli altri; che ci sono "elementi narrativi nel Vangelo che hanno analogie con altri miti ed altre culture" (Moseley, 27) cosa di cui Tolkien si era reso conto e che viene ammesso attraverso la sua convinzione per cui "il mito e le strutture narrative [...] sono fondamentalmente vere, radicate in una più profonda Verità" (Moseley,27).

Tolkien affermò che "L'importanza di un mito non può esser facilmente messa per iscritto tramite ragionamenti analitici" (Moseley, 25). E' certo infatti che la mitologia de Il Signore degli Anelli non può mai esser afferrata per intero, poiché e' piuttosto lontana da noi e perché, semplicemente, noi non vivremo mai nella Terra di Mezzo. Ciò che il romanzo contiene sul mito e la mitologia, non è che "l'incertezza e le visioni di un mondo alieno che va oltre la comprensione" (Shippey, 100; mio corsivo). Quello che si crede di comprendere è legato a ciò che sembra essere più familiare: molti lettori vedono similitudini con i miti che conoscono (comp. Shippey, 102). E' anche la percezione del lettore a decidere il livello e lo stile del mito, o se qualcosa possiede un significato mitologico e quale esso sia. Per alcune scene ed ambientazioni, sono possibili differenti livelli di interpretazione, a partire dal mito, dietro cui si immagina un significato più profondo; profonda mimesi, quando vi sia una flebile aria d’un più alto, ancorché irraggiungibile concetto; e ironia, se le cose dall’antefatto incerto vengono prese cum grano salis, con un pizzico di intelligenza (comp. Shippey, 198).

In quale maniera, dunque, Il Signore degli Anelli è un mito, posto che ha di certo una sua mitologia? Se si prende la definizione di Northrop Frye per cui "l'eroe è un essere divino e la sua storia sarà un mito" (Shippey, 190), allora si può giustificare il rango mitico del romanzo prendendo in considerazione l'aspetto divino di Gandalf, come Maia, una specie di divinità minore; gli elfi, che sono immortali e Frodo, che possiede tratti modellati su quelli di Gesù Cristo: pietà e compassione. Un altro criterio dato da Shippey è Il Signore degli Anelli visto come "una storia comprendente i più profondi sentimenti di una particolare società in un certo periodo" (Shippey, 184); e, per definire il romanzo in una sola espressione, dovrebbe essere "un mito contro lo scoraggiamento" o "un mito di Deconversione" (Shippey, 184).


VI. Filosofia e cosmo ( indice )

Religione e retroscena religiosi

La maggior parte, se non tutta, la filosofia ne Il Signore degli Anelli è basata sulla visione cattolica della vita propria di Tolkien. In questo, come in molti campi della sua narrativa, Tolkien ebbe una peculiare opinione con senso e comprensione dell’arcaico, dal quale ponderò, per quanto addietro fossero, i principi dei primissimi fondatori della chiesa. Il compito affidato da Dio di creare nel nome del Signore soggiace all’atteggiamento di Tolkien di essere meramente un curatore, un sub-creatore. Il sottomondo che egli creò è radicato nella nostra realtà, che a sua volta ha radici in Dio stesso. Eziandio, lo spirito trascendentale può dirsi soggiacente a tutto il libro, così come le sue "vedute [Cristiane] sono alla base di tutta la narrativa di Tolkien" (Moseley, 11). Tale allineamento della sua narrativa in un certo modo alla volta della metafisica è dovuto alla credenza nell’aldilà migliore se comparato alla terra, il quale è centrale nella Cristianità; come sant’Agostino, un padre della chiesa che scrisse il De Civitate Dei - La Città di Dio - indicò, "qui non v’è città eterna, qui non v’è che perduri." (Moseley, 13). L’uomo fu insignito da Dio della responsabilità di creare, e così è logico che nella creazione di un fedele Cristiano, "si può leggere il volere di Dio" (Moseley, 20). In Tolkien stesso, l’uomo era un essere caduco, bisognoso del perdono e della grazia del Signore, che ama il suo creato e lo conduce a nuova gloria dopo una grande fine; dopo un grande conflitto tra i fondamentalmente scissi Bene e Male. Tali forze, fa notare Moseley, volgono l’universo in "un luogo di scontro" (Moseley, 60). La Terra di Mezzo certamente è un tal luogo, è un "campo di battaglia del costante conflitto morale" (Moseley, 63), e l’ideologica presa di posizione rende il conflitto più terribile che non se fosse uno scontro materiale, poiché il male trae diletto nei suoi atti per suo proprio gusto, non a causa dei benefici della malignità. In tale cosmologia, il male ha sempre l’iniziativa, ed un iniziale vantaggio. A causa di ciò, appare a tutta prima come un disperato scontro dei piccoli contro l’incessante potere dell’oscurità, ma alla fine, non da ultimo in seguito ad intervento celeste, le potenze del bene sono sempre trionfanti.

Tale presa di posizione deriva da due differenti vedute del male che Shippey spiega nel suo "Road to Middle-earth": quella di Boezio e la Manichea. Nella visuale di Boezio, uno dei primi filosofi Cristiani, il male è effettivamente nulla, meramente l’assenza del bene; pertanto non può creare ed esso stesso non è creato. Siccome non può esistere dove vi sia il bene, è alfine destinato a perdere. La visuale Manichea è quella in cui il male è reale e pone un’immediata minaccia. Il bilico fra bene e male causa un eterno scontro fra entrambe le forze (comp. Shippey, 128f.). Per farla breve, per Boezio il male è il difetto del bene, ove il male Manicheo esiste di per sé come una controparte del bene. Tale contrasto si riflette nella natura dell’Anello: è incerto se esso sia un essere senziente di suo, il quale corrompe i suoi portatori per sua propria malignità, oppure se sia solo un gingillo che amplifica pensieri ed intenzioni già esistenti negli animi dei portatori. La questione del male in tal modo è se esso sia "un’intima tentazione oppure un potere esterno" (Shippey, 131). Tolkien mostra una combinazione di ambedue le visuali nel suo romanzo, ma una tendenza verso quella di Boezio può leggersi dalla sua atteggiamento nei confronti di una epitome del male nella Terra di Mezzo, le ombre: "Le ombre sono assenza di luce e così non esistono in sé stesse, ma sono visibili e palpabili proprio come se lo fossero. Quella è esattamente la visuale di Tolkien del male." (Shippey, 133; mio corsivo).

L’approccio che il bene deve avere nei confronti del male è, a parte la coraggiosa lotta (la quale sarà argomentata più avanti), trattare il male col bene. Rispondergli con pietà e misericordia, come Frodo fece con Gollum, è la più alta mira nel conflitto da ambo i lati. Ne Il Signore degli Anelli, è come Gesù disse: "Perdonate e vi sarà perdonato.". In contrapposizione, si dà sovente il caso in cui "le male azioni promuovono la causa del bene." (Jacobsen, l. 528f.). Ne è esempio l’assalto di Boromir a Frodo, il quale indusse Frodo a lasciare la Compagnia e trovare la propria via per Mordor – il che egli fece con successo -, oppure il morso di Gollum che costò a Frodo il suo dito anulare, distruggendo l’Anello per sempre.

L’influenza che il male ha sul bene è principalmente quella della tentazione, di distogliere il bene dalle sue rette intenzioni. Esso operò con i Nani che andarono a Moria ed infine stanarono il demone Balrog per la loro cupidigia, operò anche con Saruman che fu tentato e corrotto dalla sua brama di potere e conoscenza. Nel suo caso, il male, nella forma della corruzione, volse il più possente dei giusti in un alleato del loro peggior nemico: corruptio optimi pessima, come recita il proverbio Latino. Di sicuro, il tralignamento è un soggetto importante de Il Signore degli Anelli.

La filosofia de Il Signore degli Anelli

La filosofia di vita che appare ne Il Signore degli Anelli si sviluppa interamente attorno al conflitto centrale del bene contro il male, e l’Anello, quale oggetto maligno, ma nelle mani del bene, è, nella sua natura, sia uno specchio dell’intera costellazione, che oggetto per il quale è effettivamente combattuta la guerra. La responsabilità che ognuno ha di lottare contro il male è fra le conseguenze che il conflitto avrà in ogni modo: sconfitta e cambiamento sono inevitabili, ed ogni abitante della Terra di Mezzo è forzato a scegliere la sua posizione e, se dalla parte dei giusti, difendere le minacciate quotidianità; poiché tutti i rifugi verrebbero estinti dall’Oscuro Signore se la resistenza mancasse di decisione: La Contea, Lórien, Gran Burrone perirebbero tutti. Siccome Tolkien certamente era più interessato al complesso di moralità e valori, è anche conseguente che volgesse verso la "grande scala", essendo "interessato meno allo specifico sociale che non al generico essere umano." (Moseley, 65). L’inevitabilità della scelta morale con cui gli uomini sono confrontati fa il punto sul frangente dell’umanità nel romanzo. Ciò è per certo pessimistico, ma non disperante; Tolkien non avrebbe ammesso una tale attitudine da parte dei giusti nella Terra di Mezzo. I personaggi nel romanzo non hanno la possibilità di realizzarlo, ma l’esito sarà, che alfine il male darà prova d’esser troppo perverso per essere vittorioso; ciò che i personaggi vedono è soltanto la loro situazione nella quale la lotta contro il male è inevitabile, e dove il loro discernimento ha ancora di che rimanere ugualmente retto. Il fato d’una persona è segnato una volta che si prenda partito.

Ancora, Tolkien prova le sue doti di scrittore nel raffigurare finanche l’altro lato: quello di coloro che non fanno una scelta o compiono quella errata sia pure con buone intenzioni, e dà anche esempi di personaggi che scelgono di non scegliere: questi sono personaggi virtualmente neutri. Leif Jacobsen lo spiega in dettaglio nel suo saggio "The Undefinable Shadowland - A study of the complex question of dualism in The Lord of the Rings". Boromir, Gollum e Tom Bombadil sono tutte eccezioni allo schema bianco-nero per cui Tolkien è spesso accusato. Boromir compie la scelta moralmente errata, ma mai con alcuna intenzione malefica, solamente influenzato dall’Anello. Tom Bombadil, d’altra parte, che sceglie di non prendere affatto parte al conflitto, che, in tal campo, trascura il suo dovere morale, è visto ancora più positivamente di Boromir da molti 9. Gollum è differente da entrambi nel modo in cui non si cura d’alcun altro che non se stesso, e la smania per l’Anello da cui è affetto. Egli schiva il lato malefico di Sauron tanto quanto sarebbe riluttante ad atti malevoli se non vi fosse incitato, sia dalla brama per l’Anello, o sia per lo sprezzante trattamento di Sam.

L’Anello, a parte la sua influenza come un tentatore, è anche articolo di un’importante valenza filosofica: "Il potere corrompe, ed il potere assoluto corrompe assolutamente". (Shippey, 124). Qui Tolkien varca la soglia dalla mitologia alla filosofia, ed il pensiero espresso è effettivamente affatto moderno. Non solo la cupidigia per il potere causa l’agire delle persone in un modo ingiusto ed egoistico, ma anche il suo possesso influenza una persona negativamente, pure volgendo il bene in male. Proprio come l’Anello espone il suo portatore ad amplificare le sue emozioni, il potere rivela il reale carattere di una persona una volta che sia in una posizione in cui possa permettersi di ignorare precauzioni. Un altro, pure più moderno pensiero è la dipendenza che l’Anello causa; e ciò è assai prossimo al vero, i.e. la tossicodipendenza: essa controlla mente e corpo, le azioni, e ancora può essere raffrenata, come lo possono le droghe. Ecco perché Gollum, povero di forza d’animo e ignaro della nequizia dell’Anello, gli soccombe interamente, e perché altri sono in grado di sorreggerla: coloro fra i più nobili d’animo, come Gandalf e Galadriel, e coloro fra i più puri di cuore, tali come Sam, provano l’errore di quei critici di Tolkien che asserivano vi fosse qualcosa come una irrealistica tentazione dell’Anello; essa afferra solamente una forza d’animo solida abbastanza, che taluni non hanno e che ancora non necessita d’essere perversa al postutto. Tale intera percezione del potere come corruttore, che espone e dà assuefazione è contrasto a molte ed antiche opinioni, in cui non era tanto una preoccupazione l’abuso di potere quanto l’impotenza; ed in cui esso era inteso come il traguardo dell’umano desiderio, ed era tristemente noto come una virtù – come disse Henry Kissinger, "Il potere è l’ultimo afrodisiaco".

Le forze trascendentali sono il fattore neutrale sia per bene che per il male, ed il loro ruolo ne Il Signore degli Anelli è principalmente di cooperare con le azioni terrestri e risponder loro. Quantunque tali poteri del fato, sorte e fortuna siano incostanti, ponendo un "basilare diniego della sicurezza per tutto Il Signore degli Anelli" (Shippey, 138), sembrano ancora essere affette in qualche modo dagli eventi nella guerra. Le decisioni che i personaggi prendono sono quindi una miscelatura, una "continua interazione di provvidenza e libero arbitrio" (Shippey, 137). Nel romanzo, non v’è cosa che sia totale dipendenza dalla fortuna, e per lo più non v’è possibilità di scelta totalmente libera. Coraggio, ottimismo e tenacia sembrano dare un’impronta alle forze del fato: fortuna fortes adiuvat, "La fortuna aiuta gli audaci", è l’antico proverbio per tale circostanza. Non è una "fortuna pregiudiziale", che alcuni critici credevano d’aver visto nel romanzo, ma che aiuta coloro che si aiutano da sé. Tolkien mostrò una certa tenerezza di cuore, per esempio nella sopravvivenza del pony di Sam Bill, ma quando la sorte aiuta gli hobbit in Mordor, è per il loro spirito di non rinunciare mai, non solo l’autore che dirige gli eventi in un modo non realistico. Anche la provvidenza è un argomento centrale, specialmente la provvidenza che condusse Aragorn alla corona. I popoli nella Terra di Mezzo sono talvolta vincolati ad azioni dettate molto prima dalle potenze del fato, non soltanto Elessar, ma anche la caduta del Signore dei Nazgûl è profetizzata. Il finale, un lieto fine, è pure predicato; ma tutto ciò non guasta né s’infiltra nel corso degli eventi e sulla loro verosimiglianza, poiché le cose potrebbero aver preso una via differente se non fosse per i gloriosi atti delle libere genti, ed in quanto vi sono vittime: Lórien perisce, insieme con gli Elfi nella Terra di Mezzo; i Nani sono in procinto di diminuiree; vi sono caduti in battaglia, come Théoden e Boromir, e, non da meno per Tolkien, molte bellezze sono perdute assieme a tutto ciò.

Valori e virtù della Terra di Mezzo

È da quanto si spiega qui sopra - religiosità e filosofia - che i valori che appaiono ne Il Signore degli Anelli derivano. Tali valori ed etica, che erano comuni al tempo di J. R. R. Tolkien e dintorni si trovano almeno parzialmente nel romanzo. La concentrazione sul WASP 10, è tanto visibile quanto lo è l’organizzazione patriarcale della vita. Nella Terra di Mezzo, certamente vi è dominanza maschile, e i Paesi sono guidati da archetipi di re guerrieri. Essi, la loro legittima regalità, ed il loro sviluppo in essa sono soggetti principi dell’intero romanzo, con i caratteri di Aragorn, Théoden, Éomer, Faramir, Denethor quali esempi di regnanti in stile medievale. I paradigmi per il legittimo re che Tolkien dipinge, in parte con l’eccezione di Denethor, possono essere presi dalle primissime fonti: I Re d’Israele, Davide e Salomone, l’Imperatore Romano Augusto, e, più in alto di tutti, Gesù Cristo, rex iudaeorum – Re dei Giudei, come lo chiamarono i Romani - come ideale del giusto e nobile sovrano e re, il rex iustus. L’eurocentrismo del romanzo, come si potrebbe denominare, conduce a quelli che possono esser visti come stereotipi razziali, con gli scuri e gretti Sudroni; però tali paralleli non hanno una origine razzista in Tolkien, sono solamente a spiegare la visione dei popoli del nord e dell’ovest, e di come essi vedessero i forestieri - tenere a mente che la storia è narrata dai vincitori.

L’amore fra i sessi non è la maggior caratteristica del romanzo. Ciò è in parte dovuto ai ruoli dei sessi nel mondo della Terra di Mezzo, ove le donne sono distaccate, se belle, e preservate dagli affari di guerra e politica. Le donne Elfiche sono un po’ un’eccezione, come Galadriel, ma l’altra eccezione, Éowyn, che tenta di evadere dal suo ruolo preconcetto, può trovare libertà solamente nell’arcaica immagine della fanciulla in arme d’antico stile. I valori centrali sono quindi cameratismo fra gli uomini, fratellanza, mutuo supporto e lealtà. Si potrebbe azzardare, che questi siano i valori positivi dell’etica del Terzo Reich, con la Kameradschaft come cuore, un termine che include tutti quelli sopra, a provare le critiche erronee a Tolkien che lo definiscono un romanziere WWII. L’amore è un soggetto nei casi dell’amore per gli oggetti, i luoghi, la famiglia e gli amici. Riguardo all’amore nel romanzo, esso ancora una volta non è la disamina di un’esperienza che importi; quel "che importa è la forma e la forza della storia, il mito" (Moseley, 64).

Tale vaghezza in certi campi accentua solamente l’importanza dell’ultimo interesse di Tolkien: la moralità. La parte moralmente malata è naturalmente quella del male, ma la sua manifestazione è rimarchevolmente quella della modernità: Saruman ne è il primo esempio. La sua intrusione nel mondo della Terra di Mezzo con politica, modernità e progresso, presuppone la distruzione delle cose antiche ed amate, come il mulino della Contea. Denethor è inoltre un esempio delle debolesse delle culture civilizzate: il suo "esagerare nelle sottigliezze, egoismo, abbandono della ´teoria del coraggio´" (Shippey, 118) (quest’ultima spiegata in dettaglio in basso) sono tutti marchi della decadenza moderna.

La controparte a ciò che Tolkien fornì fu tipicamente la "´Teoria del coraggio´ Settentrionale [...] il cui elemento centrale è che pure l’ultima sconfitta non è del tutto negativa." (Shippey, 109). Il modello di comportamento è dato qui dall’apocalisse Nordica, il Ragnarokr, nella quale gli dei, gli Aesir ed i Vanya, sono inevitabilmente sonfitti, ciascuno essendo a conoscenza della propria morte - Odino essendo ucciso da Fenrir il lupo, Thor morendo nell’abbattere il serpente Midgard -, ma non rifiutandola. Gli dei erano al corrente dell’esito della battaglia finale contro i giganti, ma il loro coraggio che non soccombette al male, alla tentazione e all’oppugnazione fece una grande impressione a Tolkien. Parzialmente, tale nordica virtù è dovuta alla Teutonica convinzione sull’aldilà, dove i guerrieri uccisi sul campo di battaglia sono risuscitati e congiunti alla legione di Odino nel Valhalla per combattere nel giorno del Giudizio Universale: l’Einherjer. Théoden, probabilmente il più nordico di tutti i caratteri ne Il Signore degli Anelli, accenna esattamente a tale credenza nel momento della sua agonia, dacché le sue ultime parole sono "Torno dai miei padri"; egli parla della "loro compagnia 11" e di "un tramonto dorato" (SdA, 1012).

Ma, Cristiano com’è, Tolkien dà anche la prospettiva di un nuovo, seppur più mite, concetto di "ultima" prodezza: "risa, allegrezza, rifiuto di look indagare affatto sul futuro " (Shippey, 142). Ciò è dimostrato dagli hobbit, specialmente Sam, con la sua abitudine di non conoscere ciò che si trova dinanzi ma insistere, non curandosi di ciò che segue. Come già spiega dopo l’incontro con gli elfi sulla via per la Terra di Buck nella Contea, "So che percorreremo una strada lunghissima verso l’oscurità; ma so che non posso tornare indietro. [...] ma ho qualcosa da fare prima della fine, qualcosa che si trova avanti a me, e non nella Contea. Devo arrivare fino in fondo [...]." (SdA, 127). Sam e Frodo mantennero tale atteggiamento nel loro percorso verso Monte Fato costantemente.

Gli hobbit, quantunque non incarnassero certamente l’ideale del coraggio e della prodezza, sono ciononostante importanti per la presentazione di Tolkien delle virtù raccomandate. Come spiega T. A. Shippey, " ne Il Signore degli Anelli egli aveva appreso - mischiando gli hobbit con gli eroi - a presentarle [le virtù che Shippey elenca nella pagina precedente, ´stoicismo, disincoltura, pietà, fedeltà´] in modo relativamente non provocatorio." (Shippey, 240). A tale riguardo, egli scese a compromessi coi tempi moderni ed assaggiò come tali virtù, per quanto in alto siano tenute nel romanzo, siano distanti dal lettore medio al giorno d’oggi.

Il contrasto fra virtù le Pagane (coraggio) e Cristiane (pietà, misericordia) è risolto da Tolkien mediando tra paganesimo e Cristianesimo; narrando "una storia di virtuosi pagani nella cupezza dell’oscuro passato, prima delle pressoché flebili premonizioni di luce e salvezza" (Shippey, 180). Tolkien fornisce una prospettiva di salvezza per gli eroici pagani nel romanzo, e quelli di altre pubblicazioni, come Beowulf, e dà un modello di "elementare virtù che esiste senza il supporto della religione" (Shippey, 184), siccome naturalmente non vi era ancora alcuna religione Cristiana. Librandosi fra paganesimo e Cristianesimo, fatalismo e salvezza, si può dire che Tolkien traduca "la saggezza dell’antica epica [...] in una sequenza interamente nuova di dubbi, decisioni, detti, rituali" (Shippey, 113). Non è esattamente questo il minore degli ambiti che rendono Il Signore degli Anelli un mito di dimensioni cosmiche e filosofiche.

Mito contro filosofia

Definire sia il mito che la filosofia naturalmente addita le differenze tra i due. Ancora, entrambi possono trovarsi ne Il Signore degli Anelli, ed entrambi sembrano essere maneggiati con la medesima cura dall’autore, non preferendo uno in contrasto con l’altra, quantunque i livelli siano differenti. La resurrezione della scrittura del mito, alla quale Tolkien soggiacque, è certamente dovuta ad una fondamentale necessità che non è soddisfatta esaurientemente abbastanza nel nostro mondo scientifico, tecnico dove la magia dell’immaginazione e finzione è pressoché soppressa (comp. v. Müffling, 11). La filosofia, a sua volta, trova sempre più persone interessate, talvolta volgendo nella bassa filosofia popolare. Dove il mito generalmente s’appella alla religiosità ed alle emozioni, la filosofia s’appella all’intelletto, alla mente (comp. v. Müffling, 12). La vividezza e ricchezza d’immaginazione che il mito possiede in contrasto con la filosofy (comp. v. Müffling, 11), è perché esso divenne popolare con Il Signore degli Anelli; è la filosofia di vita del romanzo che lo lascia nella superba compagnia di altre grandi opere nella storia della letteratura.


VII. La questione dell’allegoria ne Il Signore degli Anelli ( indice )

Le origini delle allegorie

Esistono differenti ragioni sul perché molte persone trovino allegorico Il Signore degli Anelli e la storia recente può essere quella più immediata. Non può certo esser negato che fenomeni non culturali e legati alla letteratura abbiano portato, con un certo accordo, ad un crescente interesse per il romanzo, alimentando il suo successo. Ci sono indubitabilmente numerose cose che possono essere viste come paralleli di eventi storici o con una certa visione della vita, sebbene Tolkien chiarisca che l’allegoria, che userebbe personaggi ed eventi del romanzo soltanto per portare il proprio messaggio e non per il bene della storia, non fu mai sua intenzione. Vedendo la maniera in cui molte persone abusavano del suo libro per le loro interpretazioni, nella prefazione alla seconda edizione de Il Signore degli Anelli, egli scrisse: “Per quanto riguarda ogni significato nascosto o ‘messaggio’, nessuno di loro è nelle intenzioni dell’autore. Esso [il romanzo, N.d.T.] non è ne’ allegorico né d’attualità.” (SdA, xvi). Tolkien porta come argomento contro la spesso sentita allegoria della II Guerra Mondiale, che l’abbozzo della storia prese la sua via prima del 1939. Per quanto riguarda l’allegoria, egli nota, “Cordialmente non amo l’allegoria in nessuna delle sue manifestazioni. […] molti confondono ‘applicabilità’ con ‘allegoria’; sebbene una risieda nella libertà del lettore, l’altra nel proposito di dominio dell’autore.” (SdA, xvii). Altrove, Tolkien prende un’altra posizione a riguardo di questo trattamento del suo lavoro: “Una descrizione allegorica di un evento non fa questo elemento allegorico di per sé.” (Moseley, 76; citato da “Pearl and Sir Orfeo”).

Può darsi che “questo rifiuto dell’allegoria si possa vedere come un invito a vedere se essa possa andare bene” (Moseley, 76); principalmente, però, era la visione della storia di Tolkien a negare un significato allegorico. “La storia, pensava Tolkien, è variabile nella sua applicabilità. Ma se si comprende a fondo, la si può vedere ripetersi da sé.” (Shippey, 152; mio corsivo). Proprio questa ripetizione della storia può leggersi da Il Signore degli Anelli; non il modello di una storia specifica, ma il ritratto di un comune pezzo di storia umana di cui la guerra è un principale fattore formativo. In questo modo, il romanzo è allegorico, ma non per una certa e singola circostanza, bensì per il flusso e gli eventi della storia umana per intero. Ridurre il romanzo ad un interesse singolo è differente dal fare applicazioni con eventi simbolici, nella maniera in cui “il simbolico permette al lettore ed alla sua cognizione di prender parte alla creazione del significato, l’allegorico nega questa possibilità” (Moseley, 72). Poiché la storia si ripete nello stesso modo, il ricorso è naturalmente possibile, così come lo è per molti eventi nella vita reale; una nuova guerra può sempre esser comparata con e vista come un parallelismo di una prima di essa.

Ma le istanze non possono essere escluse leggendo Il Signore degli Anelli: "Il vero punto sta nel fatto che le teorie di Tolkien sulla natura, il male, la fortuna e sulla nostra percezione del mondo generano una sorta di sottoprodotti di istanze moderne e politiche." (Shippey, 155). Qualsiasi allegoria o ricorso deve in ogni caso esser trattata con cautela, e molte allegorie possono, nel senso indicato dall’autore, esser rifiutate così pienamente che rimarrebbero soltanto sfocati parallelismi, come sono in procinto di dimostrare.

Allegorie storiche

Il tipo di allegoria più comune per Il Signore degli Anelli è quella di chiamare Tolkien uno scrittore di guerra ed il libro una riflessione su di una guerra storica, a scelta la Prima o la Seconda Guerra Mondiale, oppure la Guerra Fredda. La I Guerra Mondiale è qui principalmente vista semplicemente come un’influenza su Tolkien, dettandogli, con la sua esperienza nella Somme, la descrizione del paesaggio e dell’ambiente di Mordor e provocando la sua demonizzazione del progresso e della tecnologia. Tolkien ammise che Sam Gamgee fosse modellato su differenti soldati della guerra del 1914, i soldati semplici e gli attendenti (comp. Kessler, 1f.). Come in entrambe le guerre, il nemico ne Il Signore degli Anelli non è visto come una massa di individui e uomini, ma come un’entità collettiva. Questi, però, sono soltanto meri parallelismi, e di sicuro non comprendono l’intero complesso del romanzo. Ciò che più conta, si può dire di sicuro che Tolkien sarebbe partito schivando la tradizione Germanica, essendo stata profondissima l’influenza della I Guerra Mondiale.

E’ frequente l’utilizzo del romanzo come allegoria della Seconda Guerra Mondiale, ed e’ vero che stretti parallelismi possono esser tracciati in numerose cose. Denethor e Saruman ricordano al lettore attento i governi-fantoccio, Vichy e collaborazioni come quella di Quisling. Visto come un’allegoria, Warren Lewis disse: “Una gran parte di esso può esser letto in senso attuale – la Contea al posto dell’Inghilterra, Rohan come la Francia, Gondor al posto della Germania del futuro, Sauron come Stalin…” (Kessler, 3). Una miscela di Seconda Guerra Mondiale e Guerra Fredda si ritrova spesso in questo campo dell’allegoria, e alcuni studenti in “Inghilterra e USA estraggono dai libri di Tolkien una mitologia politica per questo tempo di una Guerra Fredda che potrebbe facilmente trasformarsi in una combattuta” (Moseley, 72); mentre altri adottano il disprezzo di Tolkien verso il progresso per i propri movimenti Verdi. Differenti eventi e condizioni nel romanzo portano verso molteplici interpretazioni riguardanti la II Guerra Mondiale: principalmente comparando Sauron ad Hitler e l’Anello con la bomba atomica. Il paragone per cui gli orchi sono un prodotto d’incroci genetici, va in questa direzione, ricordando gli esperimenti condotti dal Dr. Mengele sugli Ebrei di Auschwitz.

Ma tutte queste allegorie in cui Sauron sarebbe Hitler, alleato con Saruman che starebbe per l’URSS ed in guerra contro l’alleanza occidentale di Gondor e Rohan sono destinate a sgretolarsi, non per ultimo a causa degli errori e deficit storici dei rispettivi autori. La personificazione di Hitler che incarnerebbe tutto il male della Germania nazista non è altro che il più trascurabile sbaglio. Skeparnides, per esempio, prova soltanto quanto tempo sia passato dall’ultima volta in cui e’ stato a scuola ed ha imparato qualcosa a proposito della Seconda Guerra Mondiale, datando l’invasione tedesca della Russia, l’Operazione Barbarossa, al 1943, quando questa era avvenuta nel 1941 (comp. Skeparnides, l. 101). Michael Tagge non fa di meglio, né risulta storicamente più corretto, quando afferma che "Hitler [sic!] tentò una varietà di esperimenti genetici al fine di produrre la razza Ariana." (Tagge, l. 57f.; mia enfasi). Né Hitler di per sé prese parte ad un solo esperimento, né il nazismo voleva “creare la razza Ariana” - niente potrebbe esser più lontano dalla verità, poiché il nazista sicuro di sé credeva fermamente che i tedeschi fossero l’ultima incarnazione della suprema razza Ariana: perché quindi avrebbero dovuto provare a riprodurla? I terribili esperimenti del Dr. Mengele avevano differenti "mire". Un altro grave errore di questo autore è stato dichiarare che, " In Europa, gran parte delle lingue sono romanze, tranne che quella tedesca. Il tedesco e’ molto differente da qualsiasi altro linguaggio europeo." (Tagge, l. 151 f.). Tolkien, come filologo, dovrebbe rivoltarsi nella tomba. Tagge qui ignora completamente le relazioni dei linguaggi Germanici (!) Tedesco, Inglese, Norvegese, Svedese, Islandese ed altri, tra cui l’Yiddish.

Le stesse differenti allegorie possono, indipendentemente dal resto, esser rifiutate, come quella menzionata ne The Road to Middle-earth: l’Anello che starebbe per la bomba atomica, essendo stato preso ed usato contro Sauron, messo in schiavitù e Barad-dûr occupata. Saruman è in grado di ottenere la conoscenza per costruire per suo conto un Grande Anello a Mordor. Qualcuno potrebbe dire che i parallelismi sono corretti, essendo Sauron i poteri dell’Asse, le genti libere l’alleanza occidentale e Saruman l’URSS (comp. Shippey, 316). Tuttavia, questo non risulta evidente ne Il Signore degli Anelli: è solo che, avendo dato al romanzo il significato d’una allegoria della Seconda Guerra Mondiale, questo è come lo sviluppo avrebbe dovuto essere; il fatto che non prenda questa strada, prova come errata tale allegoria. Non doveva essere in alcun modo un romanzo di guerra, e certamente non un romanzo contro la guerra. Inoltre, quando Tagge scrive che "La battaglia di Mordor, la distruzione dell’Anello e la conseguente fine della guerra mi ricordano gli ultimi atti della II Guerra Mondiale, quando gli USA gettarono la bomba atomica su Hiroshima" (Tagge, l. 97 ff.), trascura due cose importanti. In primo luogo, la bomba su Hiroshima fu solo la prima, seguita da quella su Nagasaki; in questo modo, il parallelismo non puo’ esser mantenuto. Più importante, il fatto di gettare l’Anello nel fuoco sottoscrive un atto di vite salvate, la riduzione del potenziale di distruzione, mentre il bombardamento del Giappone fu l’esatto opposto. Skeparnides senza volerlo dice precisamente qual’è la quintessenza di tutto ciò: che la Guerra dell’Anello è "un parallelismo diretto tanto delle guerre mondiali quanto della storia umana." (Skeparnides, l. 96 f.). Il Signore degli Anelli, come un parallelo della storia umana in generale, non può naturalmente esser ridotto ad essere un parallelo d’un singolo evento, ed in alcun modo si può presumere che Tolkien lo abbia fatto.

Allegorie ideologiche

Tolkien è stato spesso anche accusato di, o ammirato per, convogliare un’istanza ideologica o filosofica attraverso il suo presunto romanzo allegorico. Rosemary Jackson definì l’elevata fantasy tolkieniana "un veicolo conservatore per la repressione istintuale e sociale" (Moseley, 72) ed una omologazione di una borghesia bancarottiera. Qualsiasi cosa il ritratto di genere e classe ne Il Signore degli Anelli possa aver causato in alcuni lettori, non può esser negato che il romanzo sia talmente vicino allo stile medievale ed antico che queste non possono essere argomentazioni contro Tolkien - e neppure si possono accusare per questo i poeti medievali. Lo stesso vale per Skeparnides, che chiama Tolkien, e Shakespeare insieme a lui (!), un "sovrintendente […] del suo sistema di valori morali maschili" (Skeparnides, l. 31 f.).

Un’istanza del tutto diversa arriva dal musicista ed attivista pagano norvegese Varg Vikernes, attualmente ancora incarcerato per omicidio. Egli proclama che Tolkien dipinse il lato malvagio come uno specchio del paganesimo, e paragona Barad-dûr con il trono di Odino Hlidhskjalf, l’Anello con Draupnir e l’occhio-che-tutto-vede di Sauron con l’unico occhio di Odino (comp. Moynihan, 150). Laddove i Vagabondi sembrano a lui come i Berserker Norreni, egli Uruk-Hai come gli Ulfhethnar – lupi mannari -, gli Elfi gli appaiono "tipicamente Giudaici", "arroganti, che dicono ´Noi siamo gli eletti´" (Moynihan, 150). Questo deriva dalla peculiare visione di bene e male di Vikernes, differente dalla normale, occidentale, filosofia Cristiana: "Sebbene Burzum [il nome del suo gruppo musicale – l’autore] significa tenebre, in realtà è la luce di Odino. Le tenebre sono la luce." (Moynihan, 151). E’ vero che l’elemento lupino che appare nella fazione di Sauron è tipicamente pagano e che i lupi erano sacri ad Odino; e qualcuno potrebbe anche seguir oltre la visione radicale di Vikernes paragonando lo struggimento degli Elfi per Valinor a quello del popolo Ebraico per Sion.

Ma ciò che anche Vikernes deve notare è la "paganità" presente anche nel lato del bene: Gandalf, simile ad un Odino girovago, i Nani con le loro rune ed i Rohirrim con la loro immagine Anglosassone, e proprio per questo, Germanica. Ancor più prominente contro la tesi di Vikernes è il credo attuale di Tolkien: "egli aveva poca tolleranza verso i reali miti pagani o per i mitizzatori ingenui" (Shippey, 178); e Tolkien, come Cristiano, fu di certo non meno opposto al paganesimo a causa dei suoi interessi nel nord: "Egli non aveva dubbi che il paganesimo fosse debole e crudele" (Shippey, 179), negando l’immagine frequente di “nobile pagano”.

Elementi allegorici nel romanzo

Una visione più moderata e comprensibile è quella per cui Tolkien non scrisse intenzionalmente un’allegoria, ma potrebbe, come essere umano, non aver tenuto completamente fuori elementi allegorici. Per Skeparnides, il risultato del conflitto “porta un potente messaggio allegorico” (Skeparnides, l. 90 f.), ed asserisce che un mondo fittizio come quello della Terra di Mezzo può esser costruito soltanto in base alle caratteristiche del mondo reale. Ancora una volta, il punto debole di tale discorso è che, in contrasto con l’affermazione di Tolkien, cerca di provare l’esistenza di allegorie all’interno del romanzo come intenzionali ed inevitabili. Questo è sbagliato, come l’autore dovrebbe affermare, mentre il punto per cui questi parallelismi potrebbero essere qui involontariamente, inseriti inconsciamente da Tolkien, è un argomento che non si ritrova nei saggi discussi più sopra.

Michael Tagge cerca di provare la sua affermazione: “Se la ‘fantasy si basa su fatti concreti’ (Ready, 177), allora Il Signore degli Anelli poggia completamente su eventi storici, terre, religione, governi e altre opere di autori differenti” (Tagge, l. 151 f.) presentando l’esempio della gente di Forodwaith, creata in base al modello degli Eschimesi.

Come spero di aver chiarito più sopra, questi parallelismi non sono modellati sulla realtà, ma semplicemente appaiono sempre là dove vengono descritti esseri umani; nel caso specifico, chiunque vivesse in un deserto di ghiaccio, si comporterebbe come gli Eschimesi e la gente di Forodwaith.

Alcune risposte sulla questione dell’allegoria

Appare da tutti questi assunti, interpretazioni ed allegorie principalmente una cosa: che “il senso di un significato nascosto nel libro guida i lettori imponendo molte interpretazioni allegoriche su di esso, le quali ci parlano però più dei loro bisogni e valori che del libro in sé” (Moseley, 76). Questa è attualmente la quintessenza di ciò che sta dietro all’inventare allegorie: ognuno le rende pronte alla propria filosofia. Questo e’ certamente riduttivo, poiché una buona allegoria dovrebbe chieder di assorbire " ogni singolo dettaglio […] nello schema di significati paralleli di una singola notazione e questo non può esser fatto con la sua [i.e. di Tolkien] opera" (Moseley, 77). Come Mordor ed il suo male, il concetto è "cosmico nel significato più che contemporaneo " (Moseley, 77). È come Tolkien disse in Beowulf, " un vasto simbolismo è vicino alla superficie, ma [...] non fa breccia né diviene allegoria" (Shippey, 152). Questo si adatta allo stesso modo a Il Signore degli Anelli dove l’allegoria avrebbe inevitabilmente significato che il romanzo dovesse avere un solo significato; questo da solo prova quanto tutte le allegorie siano errate - e seppur Tolkien avesse avuto un’intenzione allegorica, tutti questi assunti risulterebbero comunque sbagliati, tranne quell’unico a cui Tolkien aveva realmente voluto dare significato.

>Per quanto riguarda l’applicabilità della storia umana e della mitologia umana, è precisamente “un affare pericoloso tracciare in modo definitivo un ‘significato profondo’ Tolkieniano da queste varie ´applicabilità´" (Shippey, 155).

Gli argomenti del romanzo sono fin troppo cosmici per essere allegorici – il bene contro il male si trova fin troppo sovente -, ciononostante l’ampio spettro lascia al lettore abbondanza d’occasioni per la sua applicabilità, soltanto non potrebbe assumerli come il singolare significato intimo di esso. Paralleli possono ben adattarsene, ma è altro il caso se siano conformi alle intenzioni di Tolkien – la maggior parte di essi non lo sono. In ogni conflitto, se ne può allineare uno o un altro lato al Il Signore degli Anelli; pure di più se non si concorda con la Tolkieniana concezione di bene e male. È probabilmente soltanto l’incredulità del popolo nella grandezza d’immaginazione di Tolkien che conduce ad accusarlo di scrittura allegorica, pregiudiziale, oppure copiata dalla realtà.

A mio modesto parere, dare al romanzo tali significati allegorici come quelli descritti sopra, mi ricorda una abitudine degli antichi Romani che pensavano che gli dei forestieri non fossero altro che i loro propri dei, soltanto sotto differenti nomi. Quindi essi li ridenominavano alla maniera delle loro divinità, distruggendo ciò che degli dei forestieri non s’adattava ai loro schemi. V’è una espressione adeguata per ambedue le abitudini: evidente riduzionismo.


Epilogo
( indice )

È ovvio che questo saggio può soltanto gettare un’occhiata sul vasto reame delle opere di Tolkien e dell’illustre mondo della Terra di Mezzo. Finora, ciò che tenta d’essere in breve, è un punto di partenza per un serio dibattere, col massimo d’imparzialità ed obiettività nella lettura ed interpretazione. Alcunché d’altro sarebbe indegno del lascito di un grande autore quale J. R. R. Tolkien fu. La popolarità del romanzo – le librerie Britanniche lo elessero a libro del secolo, come pure molti sondaggi su Internet - inevitabilmente abbraccia un ampio numero di lettori che prendono il libro come propaganda, quale non è. Dovremmo essere ben più riconoscenti per un pezzo mitologico che suscita in noi spiritualità ed emozione nel mondo freddo e dominato dalla ratio della moderna tecnica e letteratura. Per chiudere il cerchio, e, quindi, formare – quanto mai appropriato – un anello, dalla pellicola ci si può soltanto aspettare con ansia che tutte le allegorie siano tenute al di fuori e le visioni di Tolkien conservate - per esempio, non v’è necessità di Orchi in uniformi Naziste; ma qualsivoglia d’altro che non sia "cinematografia preconcetta" è benvenuto.




Appendice A: profilo biografico di John Ronald Reuel Tolkien ( indice )

(secondo: Moseley, viii-x)

1892 J.R.R. Tolkien nasce a Bloemfontein, RSA.

1895 La famiglia ritorna in Inghilterra senza il padre.

1896 Il padre muore; essi prendono residenza a Birmingham.

1900 Tolkien visita le di scuole Birmingham.

1904 Mrs Tolkien muore.

1909 Tolkien non giunge a vincere una borsa di studio ad Oxford.

1910 Tolkien conquista l’Exhibition al College di Exeter.

1911 Tolkien sale ad Oxford.

1913 Inizia lo studio della Lingua e Letteratura Inglese.

1914 Si impegna con Edith Bratt dopo che ella si converte al Cattolicesimo.

1915 First Class Honours all’università; reclutato nei Fucilieri del Lancashire.

1916 Matrimonio con Edith; prende parte alla Battaglia della Somme nella Prima Guerra Mondiale, ma è rispedito a casa a causa della febbre delle trincee.

1917 Incomincia a scrivere sul materiale del Silmarillion; nasce il figlio maggiore John.

1918 La famiglia muove verso Oxford.

1924 Diviene Professore di Lingua Inglese; nasce il figlio Christopher; viene eletto alla Cattedra di Anglosassone di Oxford.

1926 Si forma il gruppo di letterati “Coalbiters”.

1930 Inizia a lavorare su The Hobbit; si forma il gruppo letterario Inklings.

1937 Allen & Unwin pubblicano The Hobbit, or There and Back Again;

Tolkien inizia a lavorare sul suo seguito, The Lord of the Rings.

1945 Tolkien è eletto Professore all’Università di Oxford.

1949 Completa The Lord of the Rings.

1959 Tolkien si ritira dal suo professorato.

1965 Una versione pirata di The Lord of the Rings appare negli USA, dove il libro è immensamente popolare nelle università e nei colleges.

1968 La famiglia Tolkien trasloca a Poole.

1971 Edith Tolkien muore.

1972 Tolkien ritorna ad Oxford a ricevere onoranze.

1973 John Ronald Reuel Tolkien muore a Bournemouth.


Appendice B: Opere di J.R.R. Tolkien in ordine di pubblicazione

(secondo: Moseley, ix-x)

(n.b.: le opere posteriori al 1973 sono pubblicazioni postume)

1925 Sir Gawain and the Green Knight (assieme a E. V. Gordon)

1936 Lezione su ´Beowulf: The Monster and the Critics´

1937 The Hobbit , or There and Back Again

1949 Farmer Giles of Ham

1953 The Homecoming of Beorhtnoth, Beorhthelm´s Son

1954 The Fellowship of the Ring, The Two Towers (libri uno e due de The Lord of the Rings)

1955 The Return of the King (terzo ed ultimo libro de The Lord of the Ring)

1962 The Adventures of Tom Bombadil

1964 Tree and Leaf

1967 Smith of Wootton Major

1975 Translation of Sir Gawain and the Green Knight, Pearl and Sir Orfeo, ed. con prefazione di Christopher Tolkien

1977 The Silmarillion, ed. Christopher Tolkien

1980 Unfinished Tales of Númenor and Middle Earth, ed. Christopher

Tolkien

1981 Letters of JRRT, ed. Humphrey Carpenter

1982 Mr Bliss; Finn and Hengest: The Fragment and the Episode, ed. Alan

Bliss

1983 The Book of Lost Tales I, ed. C. Tolkien

1984 The Book of Lost Tales II, ed. C. Tolkien

1985 The Lays of Beleriand, ed. C. Tolkien

1986 The Shaping of Middle Earth, ed. C. Tolkien

1987 The Lost Road and Other Writings: Language and Legend before

"The Lord of the Rings", ed. C. Tolkien

1988 The Return of the Shadow, ed. C. Tolkien

1989 The Treason of Isengard, ed. C. Tolkien

1990 The War of the Ring, ed. C. Tolkien

1992 Sauron Defeated, ed. C. Tolkien


Appendice C: Mappa della Terra di Mezzo durante la Terza Era ( indice )

(da http://scroll.to/Summoning)


Abbreviazioni e bibliografia delle opere consultate ( indice )

Fonti primarie

  • SDA Tolkien, J. R. R. : Il Signore degli Anelli, edizione in un volume.
    HarperCollinsPublishers, Londra, 1995

Fonti secondarie

  • Genzmer, F. (traduzione): Die Edda. Eugen Diederichs Verlag Munich, 1997
  • Jacobsen Jacobsen, L.: The Undefinable Shadowlands.
    http://www.tolkien-archives.com; o.O., o.J.
  • Kessler Kessler, B.: Tolkien and the Wars.
    http://www.tolkien-archives.com; o.O., o.J.
  • Moseley Moseley, C.: Writers and Their Work - J.R.R. Tolkien.
    Northcote House, Plymouth, 1997.
  • Moynihan Moynihan, M. and Soederlind, D.: Lords of Chaos.
    Feral House, Venice CA, 1998
  • Murray, A.: Das Tolkien Quizbuch. Klett-Cotta; o.O, o.J.
  • Shippey Shippey, T.A.: The Road to Middle-earth.
    HarperCollinsPublishers, Londra 1992
  • Skeparnides Skeparnides, M.: A Reflection on Tolkien´s World & Gender, Race & Interpreted Political, Economic, Social & Cultural Allegories.
    http://www.thelordoftherings.com; o.O., o.J.
  • Tagge Tagge, M.: The Lord of the Rings - Fact or Fantasy?
    http://www.tolkien-archives.com; o.O, o.J.
  • v. Müffling v. Müffling, M.: Amor Sapientiae. Verlag Ludwig Auer, Donauwörth, o.J.



L’articolo originale si trova al seguente indirizzo:
http://www.barrowdowns.com


1 “Era dell’ascia, era della spada / disgiunti sono gli scudi / era del vento, era del lupo / prima che il mondo si sgretoli” (N.d.T.)
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2 Nell’edizione inglese il secondo verso inizia con le parole sword-day “giorno della spada” (N.d.T.)
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3 Va detto che, agli occhi di un lettore italiano, tale caratteristica dei nomi latini dovrebbe risultare tanto più intuibile quanto il senso di Baggins rende l’idea, per il lettore anglofono, dell’opulenza della stirpe di Bilbo: si veda la nota introduttiva di Quirino Principe nell’edizione pubblicata di SdA.
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4 “Gemma elfica” nell’edizione italiana.
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5 Qui sta per la vicenda del fanciullo scambiato con un altro di stirpe Umana, laddove nella tradizione nordica lo scambio sarebbe operato da spiriti maligni ai danni di fanciulli nati da poco.
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6 L’autore qui usa il termine ‘resurrezione’ in modo improprio: quella di Cristo agli Apostoli può dirsi a buon diritto ‘apparizione’, ma il ritorno alla vita vero e proprio avvenne nel sepolcro, senza testimoni.
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7 Il frassino su cui poggiano tutti i mondi nella tradizione nordica.
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8 Il passaggio non è intuitivo: in primo luogo certi accostamenti alla figura di Gil-Galad possono sembrare un tantino azzardati, e inoltre i personaggi citati hanno una preponderante valenza storica, piuttosto che solo leggendaria, nel corso delle vicende di Arda.
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9 Che Bombadil sia tacciato d’ignavia è affatto opinabile, non sapendosi abbastanza della sua natura.
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10 Sta per White Anglo-Saxon Person, «persona Anglosassone bianca».
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11 Nella versione originale “their mighty company”.
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